ATTENZIONE

QUESTO BLOG È UN ARCHIVIO CHE RACCOGLIE I POST ANTERIORI AL 2014. IL NUOVO BLOG LO TROVATE QUI.

giovedì 29 luglio 2010

Cristophe Lemaitre


Si stanno svolgendo in questi giorni gli europei d'atletica leggera.

Per chi non lo sapesse, c'è un ragazzino francese del '90, a cui ancora non cresce la barba e che fa vedere i sorci verdi ai super muscolosissimi uomini neri della velocità.
Ieri ha vinto i 100 metri e non di poco, e qualche minuto fa ha corso la batteria dei 200 con una facilità, ma una facilità, che già tutti parlano di fenomeno.
E' il primo uomo bianco ad abbattere il muro dei 10'' sui 100 mt.

Cristophe Lemaitre ha vent'anni, un fisico ancora acerbo e nemmeno un quarto dei muscoli che hanno i suoi colleghi. E' una scheggia.
Tra qualche anno, quando avrà corretto la tecnica immatura, quando smetterà di correre con i gomiti larghi, quando sarò composto fino alla fine, non dico che riuscirà a strappare i primati ai giganteschi colossi giamaicani, ma insomma, chi lo sa.

mercoledì 28 luglio 2010

Mentre Leggo - La scopa del sistema

Wallace ha scritto questo libro a 24 anni.

Parole. A quanto pare quella donna è ossessionata dalle parole. Sull'argomento non ho nè intendo avere idee le chiare, ma sembra che all'università fosse una specie di fenomeno, che addirittura abbia vinto una borsa di studio a Cambridge, il che, effettivamente, a quei tempi e per una donna non deve essere stato facile; comunque sia, a Cambridge ha studiato lettere classiche e filosofia e chissà cos'altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? E' un problema di linguaggio. Sei incapace di amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Sempplice: costipazione di sedimenti linuistici.

-.-.-.-.-.-.-.-

David Foster Wallace - La scopa del sistema, Einaudi

lunedì 26 luglio 2010

Dove sono stato


Sono stato per tre giorni a Civitella Alfedena, ospitato da un caro amico.
Civitella Alfedena è un piccolo paesino di pietra in Abruzzo, nel parco nazionale.
Ho scritto già di questo posto, non qui, ma su fogli che poi sono stati stracciati - almeno quelli di carta - e non so se qualcuno avrà mai il piacere/dispiacere/ o la fortuna/sfortuna di leggere quello che ho scritto. Chi lo sa.


Il caso ha voluto che io e questo caro amico condividessimo questo luogo.
Lui ha una casa lì, io ci sono andato per anni con i miei genitori. Ma non ci siamo mai incontrati, o forse si e non ce lo ricordiamo. In ogni caso, a Civitella non mi sento ospite. La sensazione è molto vicina al sentirsi a casa. Ma nelle pagine che ho stracciato non scrivevo di questo.

Vivo in città tutto l'anno.
Quando sono in un luogo del genere dimentico lo stress dell'asfalto. Svanisce ogni pressione. Il corpo e la mente si abituano immediatamente ai nuovi ritmi, perché in luoghi del genere si ritorna ad essere naturali. No, non è retorica ambientalista. A me le città piacciono, ma c'è un dato chiaro e limpido, un dato che non si può trascurare, un'evidenza che salta immediatamente agli occhi. Io per un anno intero non so cosa voglia dire dormire nel silenzio. C'è sempre un'auto, un motorino, qualcuno che urla, uno stereo che spara nella strada le voci di improbabili pop star. Ecco, questi sono fatti.
A Civitella Alfedena la notte ti può capitare di sentire qualche sasso che cade o il vento che accarezza le case di pietra. E magari - lo dimostra la foto qui sotto - volti un angolo e ti imbatti nella natura, viva, così immediatamente percepibile.


(La foto notturna è opera di Alessandro Germanò e Corrado Parisi)

sabato 24 luglio 2010

Underworld



Ho letto Underworld.
Quello che non ha niente a che fare con i vampiri e i lupi mannari, e le donne che si innamorano di chi succhia il sangue.

Underworld, il libro di Don DeLillo.
E' una precisione non scontata di questi tempi.

Dalle prime pagine si capisce subito che merita ogni lode ottenuta. E' tutto perfetto, la struttura, i personaggi, la costruzione della narrazione.
Per chi non ne sapesse nulla Underworld racconta una quarantina d'anni di storia americana, intrecciando vite reali e personaggi immaginari. E tra i personaggi reali, DeLillo scrive di J. Edgar Hoover e Lenny Bruce.
C'è il baseball, il collezionismo, l'ossessione per i rifiuti, la paura mortale per la bomba atomica, la New York italiana. Non fatevi spaventare dalla mole.
Mi piacerebbe scrivere di più, ma sono intontito. Prima di scrivere di un libro è come se me ne dovessi liberare. E questa volta sarà difficile.

La mia impressione è che sia un punto fermo.
Uno di quei blocchi nella storia della letteratura che non può non essere considerato. Uno di quei massi sul sentiero che puoi scavalcare se non ti va a genio, ma che non puoi spostare. Sta lì, in mezzo alla strada e ti dice: nel '97 siamo arrivati qui.
Bum. (Questo è il rumore del sasso che tonfa sulla strada)

Sto via qualche giorno. Vado in montagna a trovare un amico.
Non sono ancora le vacanze, quelle lunghe. Ma ci stiamo avvicinando.

martedì 20 luglio 2010

24 Grana - Ho comprato una macchina fotografica



E' strano.
Ogni volta che ascolto i 24 Grana dal vivo mi stupisco.
Napoli ama i 24 Grana.
E' difficile spiegare il legame del pubblico napoletano con il gruppo. E sono certo che non sia lo stesso affetto con cui Napoli ricorda il fenomeno 99 posse. Non è la stessa cosa.
Prima di tutto perché i 99 posse resteranno per sempre legati al clima degli anni '90, alla riconquista politica di Napoli, al fenomeno dei centri sociali e della "rivolta" cittadina.
I 24 Grana si sono infiltrati sotto la pelle della città, hanno affrontato temi più intimi.
E così Napoli ad ogni occasione li accoglie con vero affetto.
"Francesco Di Bella sindaco di Napoli" diceva un cartello.

C'è qualcosa che mi sfugge.
Sento puzza di qualcosa d'importante.
Sapete che ultimamente alcune figure mi incuriosiscono?

Ho visto Io sono l'amore

Di questo film ne hanno parlato quasi tutti male.
Fantastico, ho pensato, un film italiano in cui c'è la superstar Tilda Swinton.
Non è un film facile. Grava sulle spalle degli spettatori come fosse un macigno. Non fa un passo verso il pubblico, ma non mi sento di dire che arrivi ad ignorarlo.

Nel piccolo cinema La Perla alla fine della proiezione la gente ha cacciato fuori un lungo sospiro. I commenti della folla non erano lusinghieri.

Eppure a me è piaciuto. E non so perché.
Reputo giusto che un autore debba tenere in considerazione il pubblico.
Ma ogni tanto, noi (pubblico), possiamo chiudere un occhio, possiamo cercare di perdonare un autore che decide di non piegarsi, che decide di raccontare ciò che vuole, come vuole?
Possiamo una volta fare noi un passo verso l'autore?
Secondo me si. E questa volta era il caso di farlo.



Vi starete chiedendo: ma a questo piacciono tutti i film che va a vedere? No, di quelli che non mi piacciono non scrivo. A meno che non mi siano piaciuti così poco da meritare un post.

venerdì 16 luglio 2010

Cose cinesi

Oggi abbiamo fatto una bella puntata su Radio VentiDieci dedicata all'estremo oriente. C'erano in studio (ancora la stanza di Fabio) due esponenti del Giappone (di cui una davvero giapponese) ed una della Cina, Martina.
Martina in Cina c'è stata per un anno intero.
Poi vi pubblico il collegamento al podcast.

Tornato a casa, dopo averle richiesto l'amicizia sul nostro social network preferito, le ho postato un video in bacheca di due tizi che giocano a ping pong.
Lei mi ha rimproverato dicendo che in realtà, sebbene non si possa provare la provenienza dei due giocatori, sicuramente il programma è Giapponese.
E per tutta risposta mi ha pubblicato in bacheca un video (sono sicuro che lo tenesse pronto per far cadere la mascella ad un occidentale come me facilmente smascellabile) bellissimo.
Lasciatemi credere che sia vero, per favore.

giovedì 15 luglio 2010

Ricordate quella storia?

Si, la storia di Luttazzi.
Alcuni blogger che seguo hanno detto che gli originali americani fanno più ridere.
Ho trovato alcuni spettacoli di Bill Hicks (uno dei comici omaggiati da Luttazzi), ne ho visto uno.
Vi copio una parte, il resto lo trovate su youtube.

Un solo consiglio: vedetelo dall'inizio alla fine.

martedì 13 luglio 2010

Ho visto Happy Family

Credo che chiunque abbia avuto la pretesa di creare personaggi, o che abbia scritto più di una volta storie inventate, possa facilmente trovare interessante il film.

Personaggi che si ribellano, storie che pretendono una maggiore attenzione, gesti che sembrano nascere da soli. Personaggi che sembrano non essere controllabili, che sfuggono agli schemi compositivi. E poi i piani, quello del reale e del fantastico che si mescolano.
Le ispirazioni, cercare personaggi in vecchie fotografie, spunti in articoli di giornale, il protagonista della tua opera che ha i caratteri somatici della tua vicina di casa con cui non hai mai scambiato una parola.

Non mi è piaciuta invece la semplificazione della figura dell'autore. Nel film il protagonsta non deve fare nulla per vivere. Questo in realtà è il vero problema che affronta lo scrittore che non riesce a guadagnare con ciò che scrive. E' anche vero che lo scrittore squattrinato crede anche che una volta svaniti i problemi economici e le distrazioni della vita quotidiana ciò che scrive possa essere qualitativamente migliore. Inutile dire che la maggior parte delle volte questo non è vero.

Vecchi cinema

Quando ero adolescente la mia città era piena di sale cinematografiche piccole e belle.
Raccontare quanto il cinema sia stato importante, e quanto, anche se in maniera diversa sia importante ancora nella mia vita, richiederebbe molto tempo. Quindi passo all'argomento successivo. Le belle sale cinematografiche di una volta, appunto.

I grandi Multisala non mi dispiacciono. Mi piace lo schermo gigantesco e il suono perfetto che ti fa drizzare i peli dietro la nuca, la file larghe, ed i led sugli scalini che ti salvano la vita in caso di caduta.

Il mio cinema preferito era il Fiamma, quello vicino Piazza S.Pasquale. Non credo esista ancora. Al Fiamma le poltrone erano altissime e rosse. Ci si poteva nascondere. Nei multisala non c'è l'intervallo. Qualche tempo fa, quando da giovane leggevo delle abitudini cinematorafiche del resto del mondo, invidiavo chi andava al cinema in America o in Olanda, dove non esisteva l'intervallo. Allora speravo che un giorno i cinema della mia città si sarebbero adeguati a quella che credevo fosse la vera civiltà cinematografica.
Oggi mi manca l'intervallo.
E mi manca l'addetto al cibo e alle bevande che passava tra gli spettatori durante l'intervallo.
Quello che vendeva i Cornetti Algida, Le bomboniere, l'acqua e la coca cola.
Mi manca fermarmi a metà film, guardare dritto negli occhi chi mi accompagna e chiedere ti sta piacendo?

E' ricominciato il cineforum che seguo nel piccolo cinema La Perla.
Ho visto una miriade di film lì, prima che il colosso con undici sale comparisse a meno di 1 km. Oggi ho visto Happy Family. Ed infatti volevo scrivere del film, prima di perdermi nei ricordi delle vecchie sale.
Il cineforum prevede l'intervallo, una fastidiosissima luce sulle scale, le poltrone rovinate, la pellicola tagliata male, la cumana vicina che fa sobbalzare l'intera sala (la volta scorsa almeno una trentina di persone sono fuggite prima della fine del film temendo che si trattasse di un terremoto). Bisogna ricominciare a frequentare i vecchi cinema.

Di Happy Family magari scrivo domani.
Per ora guardate quant'è bella questa foto, scattata al Delle Palme, una sera che abbiamo deciso di andare a vedere Crazy Heart, che i cinema con undici sale non consideravano essere abbastanza degno, evidentemente.


(Io sono quello in fondo a sinistra)

domenica 11 luglio 2010

Il Tour

Domani c'è la pausa del Tour.
In classifica finalmente i nomi pronosticati si sono fatti vedere.

Basso adesso è tredicesimo a meno di 3 minuti da Evans.

Oggi durante il collegamento Rai hanno mandato in onda un'intervista a Sylwester Szmyd, il gregario della Liquigas-Doimo che ha trascinato con Agnoli Ivan Basso alla vittoria del Giro un mese fa. Szmyd ha un blog non facilmente leggibile (è in polacco) dove vende però delle magliette bellissime.

Szmyd è quello che al giro aveva il cerottone sul naso per respirare meglio e che ha letteralmente portato Basso in vetta. Nell'intervista, che purtroppo non riesco a recuperare, ha parlato del suo ruolo. Un ruolo che ha scelto dopo aver capito di non essere un vincente, ma che prova a fare nel migliore dei modi. Il ciclismo è uno sport dove vince uno solo, ma per quell'unico campione, per quell'unico vincente, suda una squadra intera. Così Szmyd vince quando vince il suo capitano, ed il suo obiettivo non è diventare colui che primeggia, quello che spicca. Il suo obiettivo e la sua soddisfazione è fare bene il suo lavoro.

Bello, no?

mercoledì 7 luglio 2010

Aggiorniamo la lista dei feed

Qualche problema all'università e il caldo stanno rendendo la mia vita difficile.
Ma sopravviveremo.

Per il momento, quando sono in pausa, cerco blog interessanti che possano distrarmi (in senso buono) dall'impegno costante e faticoso (ualà).

Mi sono imbattuto nelle foto di Alessandra Finelli su Facebook. Abbiamo un sacco di amici in comune sul maledettissimo social network. Così, osservando il profilo di questo e di quello, ho trovato le foto di Alessandra.
Quelle che preferisco sono qui. Alessandra fotografa le facce delle persone, i corpi scuri nell'acqua di un colore che non ho mai visto, pelle seminuda, volti mascherati, sguardi accigliati. Persone che fumano, una bicicletta senza cavalletto appoggiata ad un muro, una ragazza fuori fuoco che entra in quello che ha tutta l'aria di essere un pub e finisci per chiederti se sia una viaggiatrice, una donna in carriera o una passata lì per caso.

Non essendo un tecnico, nè un aspirante fotografo, non so come faccia Alessandra a catturare il momento esatto. Ora sono certo che lei abbia studiato tanto, si sia applicata ovviamente molto, che sicuramente sa cosa fare per suscitare questo tipo di reazione in chi osserva. Ma in molte sue foto ha ritratto l'attimo esatto che mi avrebbe fatto mormorare guarda che bella, quest'immagine devo assolutamente ricordarla quando mi metterò a scrivere.

E' come se cogliesse l'attimo che rende degna una storia di essere raccontata.

Ora però, non pretendete troppo da uno che in vita sua ha fotografato solo gatti e manifestazioni liceali. Ma lasciatevi dire un'altra cosa su Alessandra. Io non la conosco, ma ho letto una sua intervista su Ziguline e mi ha dato quest'impressione: tra tutti quelli che si fingono fotografi, o che amano definirsi fotografi Alessandra sembra avere le idee chiare su cosa non vuole diventare. Ed anche questo mi piace.

Qui c'è il suo blog che finisce dritto dritto tra i miei feed. (Tra gli ultimi soggetti anche un contrabbasso)

martedì 6 luglio 2010

Mentre Leggo - Underworld

- E' vero. La mia situazione è ancora più irreale della tua. Almeno tu vai in giro. Io sto seduto qui con le mie carte che vanno in briciole. C'è una vendetta poetica in tutto questo.
- Quale vendetta?
Un sorriso fugace come il respiro di un colibrì passò sulle labbra di Tommy.
- La vendetta della cultura popolare su quelli che la prendono troppo su serio.

domenica 4 luglio 2010

Aggiorniamo la lista dei feed

Io e Fabrizio, come saprete, conduciamo un programma su Radio VentiDieci dal titolo una tazza di tè. Perché?

A me il tè piace molto. Sono stato un grande amante del caffè, amante patolgico direi.
Ma da quando ho sostituito quei 4 o 5 caffé quotidiani con un solo tè al giorno vivo decisamente meglio. Certo, qualcuno dirà, potresti vivere meglio anche prendendo 2 caffè e non 5.
Ormai sono un tipo da tè e non più da caffè. C'è poco da fare. E non potete fare nulla o dire nulla per convincermi a tornare indietro.

Grazie a Riccardo, scopro il blog di Francesca Verde unastanzatuttaper(il)tè.
Non conosco Francesca, non ancora almeno, e terminato il post la contatterò.
Il suo blog mi piace perché:

- Apprezzo i blog "tematici". Apprezzo chi riesce a portare avanti un blog seguendo un tema senza perdersi in qualsiasi argomento. Io ci ho provato ed è stato un fallimento.
- I testi che scrive Francesca sono limpidi. E la limpidezza ci piace.
- Oltre a scrivere bene, Francesca fa anche belle foto.

Chiamalo scemo

La storia delle interviste inventate da Debenedetti mi fa ridere.
E pensare che io mi preoccupo spesso più del dovuto, mi assicuro, ogni volta che scrivo qualcosa, che siano citate le fonti, che ogni cosa sia al punto giusto, che mai mi si possa rimproverare qualcosa.

Debendetti ha inventato una decina di interviste con personaggi famosi e le ha vendute ai giornali.
E' diventato anche popolare e si è scusato in un modo a mio modesto parere indegno.
A questo punto qualcuno dovrebbe dire Chiamalo scemo!
E qualcuno assennato dovrebbe davvero chiamarlo scemo.
Che finalmente a chiamare scemi quelli scemi prima o poi riusciamo a cambiare il mondo.

venerdì 2 luglio 2010

Complicarsi la vita

Questo sarà uno degli ultimi post sul calcio fino all'inizio del campionato.
Sempre che Diego non vinca questa coppa del mondo e, quindi, non esiga una di quelle belle e lunghe lettere che mi piace tanto scrivere.
A giorni poi comincia il Tour De France...quindi potete tranquillamente immaginare da cosa sarà rapita la mia concentrazione.

Ho visto Kill The Referee. E' un documentario sul lavoro che fanno gli arbitri di calcio. Non vi voglio dire molto, voglio solo che lo vediate.
Voglio che lo vediate e poi lo mettiate insieme a quanto abbiamo visto durate questo mondiale. Poi mi contattate e mi dite se siete d'accordo con le mie considerazioni:

L'impressione attuale è che quando si gioca una partita le squadre in campo sono tre, non due. La terza è la quadra degli arbitri, che comprende i guardalinee ed il quarto uomo.
Ma gli arbitri non dovebbero essere un sistema di controllo? I sitemi di controllo servono a far andare liscio l'evento che controllano, non a condizionarlo.
Non esiste un altro sport come il calcio in cui un arbitro abbia così tanto potere di modificare le sorti di una partita. Non ho mai visto un arbitro di Tennis essere così tanto protagonista da sembrare un terzo giocatore in campo. Stessa cosa nella Pallavolo, nel Basket, addirittura nell'Hockey dove si danno una caterva di mazzate.

Questo accade perché il calcio rifiuta qualsiasi tipo di tecnologia. E rifiutando qualsiasi tipo di tecnologia finisce per far diventare Rosetti più importante di Tevez e di Messi.
Basta uno schermo da 20'' a bordo campo. Non serve altro.
E' così sciocco non accorgersi che quando c'è bisogno di un controllore per il controllore c'è qualcosa che non va.