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QUESTO BLOG È UN ARCHIVIO CHE RACCOGLIE I POST ANTERIORI AL 2014. IL NUOVO BLOG LO TROVATE QUI.

martedì 29 giugno 2010

Il controllore, il controllore

A Napoli la gente odia il "controllore".
Nei mezzi pubblici, non appena si vede entrare un uomo vestito con una giacca blu ed i pantaloni scuri si scatta in posizione d'allerta. In estate soprattutto lo si riconosce subito, nessuno sarebbe così pazzo da vestirsi con camicia e giacca se non fosse obbligato. Ed i manager di certo non prendono la cumana o la metroplitana per andare a lavoro.

La gente a Napoli il controllore lo fiuta a metri di distanza.
I "controllori" sono odiati senza nessun motivo, anche se qualche volta ho letto di veri e propri maltrattamenti, il numero è così basso rispetto alle volte in cui sbaglia il normale cittadino che non si può certo parlare di una categoria violenta o vendicativa.

A Napoli il controllore lo si odia per due motivi. Il primo è che quando arriva, se non hai il biglietto sei quasi fregato. Puoi scendere alla fermata successiva, ma solitamente non ce la fai. Il secondo, ben più grave, è che costringe la gente a trovare il biglietto nella borse, o nelle tasche, a cercare e rovistare faticosamente. La gente odia il controllore perché il suo lavoro obbliga a fare qualcosa di fastidioso e scocciante.

C'è una cosa che odio tantissimo riguardo la questione controllori, biglietti, obliteratrici.
Alla stazione della Cumana di Montesanto non si può accedere ai binari se non si oblitera il biglietto. Tantissima gente, quando vede uno come me con il biglietto in mano pronto a marcarlo, si attacca dietro per passare senza obliterare il biglietto.
La cosa che mi da fastidio è che - sono sicuro - molti di loro che mi hanno palpeggiato il sedere o strusciato la fronte appiccicaticcia dietro la mia maglia e/o camicia, per attaccarsi simbioticamente a me per non farsi spappolare la milza dalle barriere di plexiglas, il biglietto ce l'avevano e semplicemente si scocciavano di tirarlo fuori per marcarlo.

sabato 26 giugno 2010

Tennis, tv, trigonometria, tornado



Prima di leggere anche La scopa del sistema ed Infinite Jest, mi fermo un po'.
Ho da scrivere (finalmente!) la tesi per bene.
Comincio però Underworld, e magari anche qualcos'altro di DeLillo, così arrivo all'appuntamento con Infinite Jest bello carico carico. E magari non mi laureo più.

Tennis, Tv, trigonometria, tornado edito dalla Minimum Fax è pieno zeppo di questioni interessanti trattate con quell'ironia che Wallace usa nel modo giusto. Fare un riassunto di quanto sia scritto nei testi, bellissimo quello sul rapporto tra scrittori americani e la televisione, delirante ma meno inenso quello sulla fiera agricola, spettacolare quello sul tennista Michael Joyce, impegnativo quello su Lynch, è praticamente impossibile.

Vi regalo qualche piccolo estratto.

Ciò è dovuto al fatto che l'ironia, per quanto divertente, svolge una funzione quasi esclusivamente negativa. E' critica e distruttiva, fa tabula rasa. Questo di sicuro è il modo in cui la vedevano i nostri padri postmoderni. Ma l'ironia è particolarmente inefficace, quando si tratta di costruire qualcosa che prenda il posto delle ipocrisie che ha demolito. [...] Che devi fare quando la rivolta postmoderna diventa un'istituzione della cultura pop? Perché questo chiaramente è il secondo motivo per cui l'ironia e la rivolta dell'avanguardia sono diventate annacquate e nocive. Sono state assorbite, svuotate, e reimpiegate dallo stesso establishment televisivo al quale si erano originariamente opposte.

40. A parte la questione del sesso e delle droghe, gli atleti professionisti sono per molti versi i santi della nostra civiltà: si dedicano completamente a uno scopo, sopportano grandi privazioni e sofferenze per realizzarsi in esso, e godono di uno stretto rapporto con la perfezione, che noi ammiriamo e premiamo (la ciotola per l'elemosina del monaco, il contratto a nove zeri del mago del baseball), e che amiamo guardare anche se non abbiamo la minima intenzione di seguirne le orme in prima persona. In altre parole loro lo fanno per noi, si sacrificano per la nostra (immaginiamo) redenzione.

venerdì 25 giugno 2010

Bizarra in radio

Nel 1996 ho calcato per la prima volta un palco teatrale.
Interpretavo un addetto alla burocrazia nella Lisistrata di Aristofane.
Ero alle scuole elementari. (La storia della mia scuola elementare e di quanto fosse straordinaria già la conoscete).

Qualche anno dopo, nel 1999 ho intepretato Lisandro in Sogno di una notte di mezza estate. Nel 2000 addirittura Ulisse. Un Ulisse con dei capelli che potrei definire irrispettosi e in nessun altro modo. Ero alle scuole medie.

Ho capito presto che il teatro non andava bene per me e che io non andavo bene per il teatro.
Nell'arte non è che ci si può incontrare a metà strada. Facciamo un esempio: immaginiamo che il Teatro (ognuno immagini il Teatro con le sembianze che preferisce) ed io ci fossimo incontrati a Teano, così giusto per dirne una a caso, e sia cominciata una trattazione vera e propria con le Montblanc dorate e le valigette di pelle posate sul tavolo.

Io: Allora Teatro, a me piacerebbe pure continuare a farlo nella vita, ma tu devi eliminare i copioni imparati a memoria, le prove senza sosta, e soprattutto il pubblico. Il rapporto con il pubblico proprio non riesco a buttarlo giù.

Teatro: Suvvia, posso mai cancellare millenni di storia per te? Siamo sicuri che tu non possa rinunciare a qualche richiesta? Insomma, la faccenda del pubblico è pesante.

Credo, quindi, nonostante la storica intepretazione legato ad un palo mentre delle tredicenni cercavano di essere fatalmente attraenti travestite da sirene, che la decisione di non recitare più sia stata una scelta azzeccata. Nel corso degli anni ho letto qualche testo, sono andato a teatro vergognosamente poco, e sono diventato ciò che più si allontana dalla definizione di critico teatrale. Per tutti questi motivi, quando mi hanno detto che avremmo intervistato tre attori professionisti su Radio VentiDieci, un po' mi sono preoccupato. Meno male che c'è Fabrizio Schirru che ne capisce - ho pensato - che quello fa i Musical, mica robetta così.

E nello studio di Radio VentiDieci, sono poi arrivati Andrea Contaldo e Serenella Tarsitano. Due attori di Bizarra, la teatronovela che fino al 27 sarà in scena al teatro Sannazzaro. Prima che dei grandi professionisti e simpaticissimi ospiti, si sono dimostrati anche molto cortesi e gentili, accettando di farsi intervistare da un ignorantissimo come me e da uno meno ignorante come Fabrizio, entrambi colpevoli di non aver visto neppure una puntata del loro spettacolo.
E tra le altre cose Bizarra è uno spettacolo che da subito ha riscosso successo. Ne avevo letto in giro, anche sul Blog di Cristina Zagaria.

Andrea e Serenella, a giudicare da quanto lavorano e da ciò che hanno fatto in passato, sono due professionisti. (E la puntata di Bizarra che siamo andati a vedere il giorno dopo non ha fatto altro che confermarlo). Ma mai si sono mostrati durante l'intervista minimamente altezzosi o presuntuosi. Io qualche intervista l'ho fatta, anche se poche data la mia breve carriera, ma so che basta mettere un microfono davanti a chiunque per ottenerne la tasformazione in Snobtron, l'essere mitologico del nostro tempo, per metà uomo e per metà superbia.
E mi ha colpito non solo la loro capacità di essere naturali e divertenti ma soprattutto la passione con cui hanno parlato del loro lavoro. E già direte voi, è il loro lavoro, come potrebbero non parlarne con passione? Magari non sarò un esperto di teatro, ma so giudicare lo sguardo annoiato di una star che parla del suo lavoro ospite in qualche famoso talk show pomeridiano:

Sai, questa fiction mi è costata molta fatica. Riuscire ad entrare nei panni di un vero eroe italiano, le attese, le ore per calarsi nel personaggio.
E bla bla bla.

Ne hanno parlato come se ogni fatica, ogni tipo di situazione stressante sia ripagata da un piacere milioni di volte più grande. Ed è un piacere puro, che non dipende da quante ospitate fai nei Talk Show o da quante interviste rilasci. Forse bisognerebbe dedicare più tempo a chi, con quel luccichio negli occhi, dimostri quanto ami ogni prova, ogni momento in gruppo, ogni messa in scena.


Ci sono stati momenti molto divertenti. Marco Mario de Notaris (fate un giro su google e guardate quanto materiale c'è su di lui) che inizialmente doveva essere fisicamente presente, è stato invitato a collegarsi in trasmissione tramite Skype. E' stato divertente, perché abbiamo fatto in modo che fosse effettivamente lì, con la sua testa, sul tavolo. Proprio la stessa fine che fa il suo personaggio Gustavo Velez.
Il tutto è stato commentato dalla musica dal vivo di Roberto Porzio.


Il giorno dopo siamo andati a vedere una puntata. Abbiamo riso tanto. Fin dall'inizio, quando Marco Mario de Notaris è entrato in scena riassumendo tutto quello che era successo nelle puntate precedenti. E vi assicuro che c'erano un bel po' di cose da dire. Abbiamo avuto la fortuna di veder recitare tutti e tre i nostri ospiti (sebbene Andrea e Marco Mario non intepretassero il loro ruolo principale). Colgo l'occasione per fare i complimenti a tutti e tre. Bizarra è un esperimento interessante. Anche se non sono un critico capisco quanto sia innovativo, e quando scrivo innovativo intendo davvero innovativo, non fresco o leggero.
E li ringrazio soprattutto, per aver permesso alla nostra piccola realtà di fare un passo avanti.
Sperando che non sembri troppo una frase da sbarco sulla luna.

Non vi anticipo altro. Ascoltate il podcast della puntata qui.

giovedì 24 giugno 2010

Mazzola

Credo sia stato Mazzola a dire, in chiusura di collegamento, poco dopo il triplice fischio finale questa volta non possiamo prendercela neppure con l'arbitro.

Adesso Lippi è in conferenza stampa. Ed è triste, molto molto triste.

Un altro arrivederci

E' morto Francesco Orlando.

Articoli qui e qui.

Gelosamente custodisco, in archivio, la voce di un grande maestro.

martedì 22 giugno 2010

Caro Marcello


Caro Marcello,
lo sai che con questa lettera è la prima volta che scrivo dei mondiali in corso?
Dovresti esserne onorato. E gia che a te delle cose scritte non te ne importa niente, perché ti importa solo vincere, e stare sulle scogliere con il sigaro in bocca. Come un vero Gringo, aggiungerei.

Marcello, ma che sta succedendo?
Io quattro anni fa sono salito sul carro dei vincitori, quello che piace tanto ricordare a Varriale, con un biglietto guadagnato perché ti ho sempre difeso e sono sempre stato convinto che nonostante calciopoli, anzi proprio perché c'era in corso la questione calciopoli, li avremmo fatti tutti secchi.
E poi io i criticoni non li sopporto.
Quelli che non appena uno sbaglia un passaggio o uno stop cominciano a dirne di tutti i colori, parlando di quanto prima si stesse meglio, e di quanto Paolo Rossi fosse un vero calciatore, di quanto prima si riuscisse a vedere la grinta negli occhi di undici giocatori durante l'inno nazionale. E poi capisco che sei stressato: la questione di Marchetti è stata pesante. Dico io, vediamo se sei d'accordo con me Marcello, quello si allena da una vita per giocare ai mondiali, e questi della Rai fanno sei puntate incentrate su di lui e chiedendo continuamente "Ma Marchetti sarà pronto"? E che diamine, ha ventisette anni il ragazzo, è un professionista, mica hanno messo in porta uno così. E ti dirò di più, sono d'accordo pure su Cassano. Meno su Balotelli, ma su Cassano ti do ragione. L'allenatore sei tu, punto, e tu decidi i giocatori da chiamare. E' il vecchio problema del credersi tutti allenatori, tutti penalisti, tutti scrittori, tutti opinionisti e criticoni.

Io ho fiducia in te, ma tu cerca di passare il girone.
Che poi i giornalisti sono peggio dei criticoni opinionisti da salotto. Anzi, cosa ancora più grave, in Italia i due fenomeni tendono a coincidere. E così, quando uno vorrebbe soltanto vedere i momenti salienti di una partita, magari ascoltare qualche intervista ai protagonisti, deve sopportare invece le opinioni di Collovati, Tombolini, di una valletta che prova in tutti i modi a stracciarsi di dosso il vestitino della sciocchina imbarazzante (e per dovere di cronaca non ci riesce), di Galeazzi e squillino le trombe, di sua maestà Costanzo che parla di De Rossi e delle trombettelle sudafricane nello stesso modo in cui parla di Carmelo Bene.
Deve ascoltare l'opinione di tutti. Che poi chi ha chiesto niente.

Ed io lo so che anche questo ti da fastidio. A me fa proprio incavolare. Perché a me piace lo sport, non ascoltare i litigi tra un ct ed una marea di giornalisti.
E si, lo so che ci sono anche i giornalisti capaci e non inclini a questa stupida tendenza contemporanea.

Ora, però, ti devo fare una domanda.
Perché fissarsi con Iaquinta? Che cos'è? Un totem? Un fantoccio scacciaguai? Marcè, quello non si muove, quello è alla frutta. Quello non ce la fa più. Ti do ragione su tutto, ma su Iaquinta ti sei fissato. Marcè, quello è un morto. Poi metti chi ti pare a te, sei tu l'allenatore e tu decidi. Ma togli Iaquinta. Che poi altro che Zidane, ci facciamo la figura della Francia, tu, io e tutti i giocatori.

lunedì 21 giugno 2010

Credo sia il caso di dire arrivederci

Non ho trovato parole adatte per il saluto a Saramago.
Allora ho cercato una foto. Solitamente funziona. Se non trovo parole mie, cerco una foto. Ma questa volta mi è andata male anche con la foto.

Allora ho cercato un po' di parole di altri.
Ho trovato un bel ricordo di Saramago su uno dei blog che seguo.
E' un bel modo questo di ricordarlo.

sabato 19 giugno 2010

Ho incontrato un premio Nobel (Ho comprato una macchina fotografica)



- Ti immagini se adesso sale con noi sul c18?
Ho detto alla mia amica mentre Herta Muller ci passava davanti, camminando leggermente curva, accompagnata da un uomo ed una donna. Minuta, piccola piccola, vestita completamente di nero.
Durante la presentazione ha inforcato poche volte gli occhialini neri filiformi con le lenti circolari grandi quanto una moneta da 20 cent.

Mi sono anche seduto a gambe incrociate ad un metro da lei, sia per fare qualche foto ravvicinata (lo ammetto) ma anche perché è una di quelle cose che sento di dover fare di fronte ad un premio Nobel. E quel dover non è certo una costrizione, nè timore reverenziale, ma il bisogno che un aspirante scrittore dimostra nei confronti di chi ha narrato e raccontato qualcosa meglio di chiunque altro. E' come affidarsi, è come da bambini quando ci si mette in cerchio e si ascolta una storia raccontata da una maestra, da un genitore, da chiunque ne sappia di più.

Leggere Herta Muller è impegnativo. Lo è per me, almeno. E' una di quelle autrici la cui materia narrativa trova sfogo solo attraverso uno stile difficilmente catalogabile. E' chiaro e frazionato, alle volte singhiozzante (se mi passate il termine), mancante, spezzato, alle volte preciso e crudo.

Non avevo mai incontrato un premio Nobel. Anche Pamuk, che ho il dovere di incontrare (e prima o poi accadrà), me lo sono lasciato scappare tante volte.
Questa del Nobel non è una fissazione. So che grandi, anzi grandissimi autori, tra cui molti che amo non l'hanno mai neanche annusato da lontano. E so che, assegnandone uno all'anno, non sono poi così pochi quelli che lo vincono. E lo so che i premi sono uno di quei fenomeni che contano e non contano nella letteratura e nell'arte in genere. Ma quando leggi la lista dei vincitori non ci trovi solo nomi di grandi scrittori. Ma di persone, uomini e donne, fatte di carne e ossa che - attenzione - non si sono innalzati al di sopra delle masse, come stupidamente si potrebbe pensare, ma che le masse le hanno attraversate, che il mondo l'hanno scavato, consapevolemente o per colpa del caso.

Yeats, Mann, Pirandello, Hesse, Faulkner, Eliot, Hemingway, Camus, Montale, Canetti...fino agli ultimi, Pamuk, Lessing.
E sapete quanti ne ho saltati.
Perché poi con le gambe incrociate ad un metro di distanza vedi che chi entra di diritto nella storia dell'umanità ha le labbra incurvate ed un tic all'occhio sinistro, il riso che esplode improvviso quando ogni tratto pare tristezza e malinconia. Scopri che un pezzo di storia scherza sull'altezza della sedia e parla per molto tempo di un altro autore in Italia praticamente sconosciuto.

Sulla presentazione di ieri de L'altalena del respiro di Herta Muller, edito da Feltrinelli, Cristina Zagaria ha scritto per Repubblica una recensione importante.

Il resto è critica - Ho visto Avatar

Ci credete? L'ho visto solo stanotte.

E nel complesso non mi è dispiaciuto.
Però, la maggior parte delle cose che hanno detto su Avatar sono vere.
E' come se fosse un compendio in tre ore di tutto ciò che il cinema Usa abbia prodotto negli anni. Un enorme monumento ai temi, alle tecniche, alle invenzioni della cultura americana. E c'è ovviamente quel filone tutto statunitense della critica ai propri atteggiamenti autodistruttivi. Viene esaltato quindi il patriottismo, per esempio, ma allo stesso modo si mette in mostra a quali azioni stupide e sciagurate si possa arrivare. Un po' come quando si appoggia una guerra e poi ci si rende conto che è un grande errore e finisce che anche chi ci credeva, con il cappello da cowboy ed una stella dorata sulla camicia a quadrettoni, prega perché i figli e i figli dei vicini tornino a casa.

Ho un po' di difficoltà a capire i metodi d'accoppiamento degli indigeni blu. Per quello che mi è sembrato di capire, tramite quella treccia lunga lunga, riescono a collegarsi agli alberi, agli animali e a qualsiasi altra entità naturale. E, a quanto ho capito, sempre con quella treccia fanno anche sesso. Il che forse sminuisce l'importanza del sesso per gli indigeni blu, o forse, fa di qualsiasi cavalcata all'orizzonte un evento decisamente intenso.

C'è un po' di tutto per quanto riguarda i riferimenti. Ma a noi non è che ci diano così tanto fastidio. Star Trek, Alien, Braveheart, Top Gun, Pocahontas, Balla coi lupi.
Ma come disse un mio professore di Filosofia, al primo anno di università, i Greci avevano già detto e scritto tutto. Il resto è critica.

mercoledì 16 giugno 2010

Mentre Leggo - Tennis, tv, trigonometria, tornado

Odio quando ho poco tempo per leggere quello che vorrei leggere.
Però la mia università mi obbliga a leggere molto. Molte cose, soprattutto che non vorrei leggere. Che poi alla fine mi fa piacere di aver letto, lo ammetto, che ma che irrimediabilmente tolgono tempo a ciò che vorrei leggere.
Così ci metto un mese per finire un libro.
E questa volta ci metto un mese per finire di leggere un libro meraviglioso perché devo passare le mie giornate a tradurre il De Oratore, il Pro Archia il De Fato, un po' di Catullo che ne vale sempre la pena ed un grandissimo e pulpissimo Lucrezio.

In ogni caso:

Quando Michael Joyce di Los Angeles effettua un servizio, quando lancia la palla e il suo viso si alza a seguirla, sembra che sorrida, ma non sta davvero sorridendo - i muscoli circumorali della sua faccia si stanno tendendo insieme al resto del corpo per raggiungere la palla nel punto più alto del lancio.

Ho pensato alla faccia di Ivan Basso, a quella specie di sorriso.

lunedì 14 giugno 2010

Cosmico

E così Luttazzi copia. Trovate notizie qui, opinioni qui e qui, e qui l'articolo che ho scritto per il Levante che ricapitola la questione.

Io ci sono rimasto male. Sebbene sia d'accordo con i due citati sopra sul fatto che i comici da cui ha copiato sono più divertenti, il mio dispiacere resta.
Io ci sono cresciuto con Luttazzi. Quando frequentavo le medie, Luttazzi faceva quel genere di comicità così poco italiano (adesso capiamo tutti perché) che mi faceva così piegare dal ridere che è anche difficile spiegarlo in un post. Mi faceva talmente ridere che ho comprato i suoi libri. Ne ho comprato più di uno.
Mi faceva ridere perché portava avanti quella comicità che trovavo anche nelle puntate di South Park, quella comicità che a 13 anni non capivi proprio per bene, ma ridevi come un matto e sapevi che dopo 4 o 5 anni avresti finalmente capito tutto come in una rivelazione e quell'amore si sarebbe triplicato, quadruplicato, milleplicato.
Guardavo Mai dire goal e sentivo che quella era comicità diversa.

Poi c'è stato L'editto bulgaro, ed anche lì i fan erano pronti a difenderlo a spada tratta, perché insomma, quella di Luttazzi è satira, la sua non è volgarità, la sua è intelligenza e arguzia, è perizia tecnica, la sua è conoscenza precisa dei tempi comici.
E così, una volta cresciuto sono andato a vedere anche i suoi spettacoli a teatro, perché in televisione non ci andava più. Poi è ritornato su La7 ed anche da lì si è fatto cacciare per quella battuta su Ferrara. Ed anche quella volta, su un vecchio blog che adesso non c'è più, (quello che aveva il titolo figo: L'aleph) avevo scritto che mi aveva fatto ridere e che se dai libertà ad uno come lui, incontenibile, poi ti devi tenere la satira che fa lui.

E poi aveva un bel po' di meriti nell'aver dato visibilità a Marco Travaglio e alle questioni su Berlusconi. Ha vinto anche delle cause importanti per quella faccenda.

Ma adesso ho paura che non si possa più tornare indietro. E mi dispiace leggere le parole piene di superiorità con cui si è difeso in un articolo (ridicolo tra le altre cose) sul Fatto. Proprio lui che ha subito la censura, proprio lui che ha parlato di mancanza di dignità nel non saper ammettere le proprie colpe, che si arrocca dietro motivazioni fatte di fumo, dietro paroloni che lasciano il tempo che trovano (soprattutto se conosci un minimo di semiotica).

Ed io spero che non si sia ridotto a credere alle bugie che dice. Perché è la categoria peggiore di persone. (Ed Indro Montanelli ne ha indicata una tra tante di persone che si comporta così. Quella che a Luttazzi proprio non piace)
Io spero che non creda davvero alle cose con cui si difende. E' meglio non avere la dignità di chiedere scusa che credere alle proprie bugie per non affrontare la realtà. Certo, nemmeno non chiedere scusa è molto corretto, ma almeno in quel caso non si mente con se stessi.
Perché chiunque faccia un lavoro intellettuale, chiunque passi la sua vita a cercare di diventare un autore (di qualsiasi cosa) sa quant'è brutto quando ti rubano le idee, le frasi, ciò di cui sei autore. Perché parliamo di soldi, parliamo di battute che sono diventate banconote nelle sue tasche.

A me dispiace. Anche se ho scoperto che quelli originali fanno più ridere.



domenica 13 giugno 2010

Dispenser II

Chiude dispenser - il Levante

Adesso cosa ascolterò a pranzo?
Sarò davvero costretto ad accendere la televisione?

venerdì 11 giugno 2010

Ho comprato una macchina fotografica - Autoritratto


Repubblica, oggi e la prima pagina in bianco. Tanto meravigliosa quanto inquietante.

E' inutile parlare di quanto il futuro che immaginiamo adesso faccia schifo.

giovedì 10 giugno 2010

Dispenser chiude

Dopo Condor chiudono anche Dispenser.
Lo comunica stamattina Costantino della Gherardesca sul suo blog. Lo staff di Dispenser non è stato neanche ufficialmente avvisato e pare che sia venuto tutto fuori da un'intervista. Una discreta figura di merda, insomma.

Di questo passo, cosa resterà da seguire in radio?

lunedì 7 giugno 2010

Per evitare fraintendimenti...

...la bassa qualità di fiction come questa, non dipende dagli attori, che la maggior parte delle volte fanno un lavoro preciso e più che ottimo.

Treme


Ne aveva già scritto Matteo Bordone.
Treme è una serie tv americana che racconta della tragedia che ha colpito New Orleans. Si raccontano le storie di persone che ritornano nelle case distrutte ed invase dal fango, delle band che provano a ricostruirsi, di chi prova ad andare avanti e di chi stenta a vivere. Bordone scriveva sul tema una serie di cose giustissime:

Ho pensato al modo in cui da noi si potrebbe raccontare L’Aquila: all’incapacità di costruire racconto sulla realtà, di essere credibili e liberi, di usare una sintassi a noi contemporanea, di non fare propaganda, di raccontare cose e persone all’Aquila senza raccontare L’Aquila, senza le nostalgie del passato, senza i personaggi che piagnucolano coi violini in sottofondo. Quando si racconta alla maniera italiana è sempre tutto troppo facile e consolatorio. Perché raccontare così, col dramma personale della signora, Michele, è informazione con una spruzzata di sentimento.

Non c'è molto da aggiungere. In Italia si è persa la capacità di raccontare. E la televisione, che più di tutti oggi potrebbe portare vere storie (non parlo di quelle educative) ovunque, è ferma a Padre Pio e a Pantani. Agiografie, le definisce Bordone.
Se non è ben chiaro il problema non è che ci sia la Pupa e il secchione o il programma in cui Mammuccari fa gli scherzi ai vip, ma che una fiction su Rino Gaetano sia fatta uno schifo.


Millennium

La regina dei castelli di carta non mi è piaciuto.
Certo, non sono molto attendibile, visto che sono un Larssoniano ortodosso.

Ho scritto qui, cosa ne penso dell'intera faccenda Millennium.

giovedì 3 giugno 2010

Chatroulette


Qualche mese fa un amico mi ha parlato di Chatroulette.
Cos'è? E' l'invenzione di un ragazzo russo di diciassette anni (Che non sarà definito un genio, vedi post precedente).

Chatroulette è un sito. Tu ci entri e ti compare subito un avviso. Il programma ti avverte che la tua webcam sarà accesa immediatamente subito dopo aver effettuato l'accesso. Chatroulette funziona così: sei collegato in video a caso con altre persone con la webcam accesa. Una roulette, quindi, una vera roulette. Se poi non ti piace quello che vedi hai un tasto che ti permette di andare avanti alla webcam successiva.

La cosa ovviamente non mi piaceva. Non mi fa impazzire l'idea che qualcuno che non conosco possa vedermi in webcam, e soprattutto non mi piace interagire in questo modo. Ma, complice la nostra semenza mi son detto: vuoi vedere che è interessante come mezzo di comunicazione e ti stai perdendo l'innovazione?
Diciamo che possiamo considerare come complice anche la mia solita, e quasi mai premiata, buona fede nel genere umano.
Ho trovato il coraggio, quindi, o meglio, coraggio a metà. Non ho avuto la spudoratezza di mostrare il mio volto, ma mi sono messo sul viso la maschera di Ray Mysterio jr. che due cari amici mi hanno regalato al mio compleanno.
Com'è andata l'esperienza? Male, decisamente male. Chatroulette è piena di gente che si inquadra dalla cintola in giù, tutti uomini. E sebbene sia andato piuttosto spedito nel cambiare collegamento di volta in volta, il risultato è sempre stato lo stesso: inizia con la C e finisce con la O (Ci sono due parole sporcaccione che hanno gli stessi estremi, valgono entrambi come risultati). Insomma, disgustoso è dire poco.

Unica nota positiva un messicano vedendo la maschera di uno degli idoli della sua patria è scoppiato in una risata che mi ha rallegrato un po'. Lui non era nudo, eh.


Be smart

Non mi piace l'accezione contemporanea di genio. Ci vorrebbe un trattato pachidermico per trattare l'argomento "genialità" e si dovrebbe tornare indietro, molto prima di Kant.
Ma, molto banalmente, il genio (almeno qui a Napoli, in Italia) è quello che riesce a fottere il prossimo mediante un'idea anche banale.
Non ce l'ho con chi studia marketing, né con chi studia le pubblicità. Ce l'ho con chi permette che passi l'idea di pubblicità come forma d'arte. Sono pronto a cambiare posizione, ma fino a che qualcuno non mi porterà valide argomentazioni considererò post come questo (be smart - come diventare il mio cane) di Mauro Zucconi giusti che più giusti non si può.